Questa è una storia come tante nei racconti di esperienze di volo militare, potrebbero esserci tre piloti morti ma invece per pochi centimetri non è successo niente di disastroso;
Velivolo Folland Gnat T1 RAF Leck
i centimetri sono quelli che passano dalla sede dell’alettone sul bordo d’uscita di un’ala di un F104 e il punto d’impatto con un altro velivolo. Noi italiani ce la caviamo ringraziando la Madonna di Loreto, non so gli altri chi ringrazino perché in questa storia sono coinvolti non solo un pilota italiano su F104/S nella veste di investito, ma anche un velivolo GNAT della RAF pilotato da un pilota americano con a bordo un navigatore tedesco nella veste degli investitori.
Ma andiamo con ordine, pista di Leck, un aeroporto militare tedesco sito ai confini con la Danimarca, uomini e donne sono mediamente di una taglia superiore alle nostre.
Primi giorni di settembre 1975, una giornata splendida, con quelle visibilità così rare per noi che veniamo dalla valle Padana, tre velivoli F104/S appartenenti al 21° Gruppo intercettori di stanza a Cameri sono in atterraggio. A bordo del numero uno lo scrivente, Comandante di Gruppo, sul numero due il Magg. Paolino Rizzi, friulano, capo ufficio operazioni del Gruppo, ottimo pilota, organizzatore operativo di altissimo livello, carattere (mi si passi il termine da caserma) di merda, sul numero tre il Cap. Giovanni Artioli, romano, giovane pilota di Gruppo, entusiasta e prezioso con un dono raro: è un abilissimo disegnatore umoristico. Mi sono molto cari questi due piloti come lo sono un po’ tutti al Comandante; amo scoprire in ciascuno di loro quella piccola forma di spavalderia che nasconde la capacità di dominare con forza il proprio istinto di sopravvivenza: unica via per fare bene la nostra professione.
“Runway clear, follow-me insight” si diceva allora cosi, sostituito poi dal per noi cacofonico “Runway vacated” per non confondere clear “libero” con clear “autorizzato” dopo un incidentone avvenuto se non ricordo male nelle Azzorre.
Mi sgancio la maschera che lascia cadere acqua in abbondanza dovuta al sudore ed al vapore acqueo dell’ossigeno.
Questo è il momento ideale per una caraffa di una qualsivoglia bevanda ghiacciata.
Al parcheggio, spine seggiolino, motore spento, tettuccio aperto a respirare l’aria frizzante degli stati del nord Europa che da noi si respira soltanto in alta montagna ed ecco avvicinarsi due splendide creature con costumi medioevali recanti una caraffa di birra ghiacciata di benvenuto, baci (deve essere stato un bello schifo per loro con la nostra faccia sudata!), sorrisi e foto.
Siamo in Paradiso?
Stemma Tiger Meet 1975
No, siamo atterrati sulla base del Nato Tiger Meet ’75.
In effetti anche noi siamo pieni di tigri, i nostri caschi, le tute, i foulard, e perfino i long john whisky!
Il Nato Tiger Meet nasce negli anni sessanta promosso dall’Aeronautica degli Stati Uniti con l’intenzione di affiatare l’USAF con le varie aeronautiche della Nato in Europa. Ogni Aeronautica Militare generalmente possiede un gruppo di volo il cui nominativo è “Tigre” che, come ogni gruppo che si rispetti, ritiene di essere il meglio della Forza Annata.
Il gruppo italiano è il 21° di stanza a Cameri e comincia a parteciparvi dal 1968.
Ogni anno l’organizzazione passa da una nazione all’altra ed ognuno fa del proprio meglio per organizzare qualcosa di indimenticabile.
Cosa succede al Tiger Meet?
Tutto.
Si vola, si gareggia a terra e in volo, si festeggia, e alla sera…si beve molto, e questo è un pericolo.
Fortunatamente non per noi italiani che in questi raduni serali solitamente guardiamo da una debita distanza dal bar i nostri colleghi. Ci pare abbiano scoperto la vera gioia della vita, la birra, e mi chiedo cosa abbiamo noi di sbagliato a pensare che sia qualche cosa d’altro.
In effetti, una di queste serate si intitolava T-Shirt party e noi, grazie alla magistrale matita di Artioli sfoggiavamo T-Shirts personalizzate, ma non solo, per risolvere il problema della serata ci eravamo portati una valigiata di T-Shirts bianche e un set di colori per cotone. Avevamo inventato il “T-Shirts Exchange”.
Mentre gli uomini davano prova di virilità al banco della birra, Artioli offriva disegni personalizzati sulle T-Shirts alle più avvenenti creature (tantissime) le quali si spogliavano con gioia per indossare le nostre. Quella sera ci siamo divertiti tutti.
Di giorno invece si vola e quando i velivoli atterrano dopo qualche manifestazione, nel trambusto delle scie non è facile essere delicati, si butta giù l’aeroplano e poi si rulla fra due ali di folla che segnala con il pollice alto se abbiamo fatto un bell’atterraggio.
Per tutti, militari e civili, il buon atterraggio è un impatto sicuro e brusco con il corretto angolo d’attacco per tutti salvo che per gli italiani, militari e civili, che tengono volentieri qualche nodo in più per poter toccare dolcemente, sentire il contatto delle ruote che cominciano a girare e poi spostare lentamente il peso del velivolo dalle ali al carrello.
Chi monta a cavallo sa che durante gli allenamenti per il salto bisogna fermarsi solo dopo un buon salto e si dice che poi il cavallo, masticando la biada, ripenserà con piacere al bel salto e il giorno successivo sarà pronto a ripeterlo.
È un po’ così anche per noi piloti, alla sera, dopo un buon atterraggio prima di dormire rivivremo con gusto la manovra, anche senza biada, e ci addormenteremo sereni.
A causa di quel problema della birra i vertici dell’USAF già dall’anno precedente avevano proibito l’attività di volo durante il meeting ai propri piloti mentre lo Stato Maggiore Tedesco quest’anno aveva vietato il tradizionale volo in gruppo di tutti i partecipanti, che già in passato aveva causato qualche problema a causa della difficoltà di tenersi vicini con velivoli con prestazioni molto differenti.
Noi vi dico il nostro stupore quando una delle ultime mattine, al briefing meteo, si alza il Comandante di Gruppo ospitante e dice letteralmente: ”Il nostro Stato Maggiore ha proibito l’attività di formazione con velivoli differenti, perciò noi decolleremo separati a trenta secondi e poi ci troveremo per caso in volo e faremo un giro della zona sorvolando l’aeroporto di Husum dove ci saranno fotografi ad immortalare l’evento. Chi ci sta’?”
Non possiamo mancare (a noi nessuno ha proibito niente), io ed Artioli, con il cuore davanti al cervello ci segnamo prontamente, Rizzi con il cervello davanti al cuore ritiene che con quello che hanno bevuto la sera prima i nostri colleghi stranieri lui preferiva guardare lo spettacolo.
Si racimolano una ventina di aeroplani, il leader sarà un RF4 Phantom del Reparto ospitante, l’AG 52 di Ricognizione Fotografica, i leader di ogni sezione saranno i G91 del 431° Gruppo di Oldenburg (Germania) che in effetti nel loro stemma portano il profilo di una volpe ma loro sostengono che sembra un po’ una tigre e vi partecipano da sempre.
Noi facciamo parte della penultima flight, dietro di noi in formazione con il G91, due Gnat della RAF del 4° Gruppo di addestramento di Kemble, ma su quello di sinistra non ci sono inglesi a bordo, ma un paffuto pilota dell’USAF in scambio sul sedile anteriore e un navigatore tedesco su quello posteriore.
Decollo a 30 secondi, dopo alcune orbite siamo in formazione e passeggiamo a 500 piedi sulle pianure della Frisia del nord.
Dopo alcuni minuti il leader comunica: ”Fra poco sorvoleremo Husum, riduco velocità”.
Io ritengo che abbia preso la manetta e l’abbia portata tranquillamente al minimo.
Ora penso che solo un ricognitore, che compie solitamente la propria missione volando da solo non si possa rendere conto che quando si è in tanti, se si è bruschi sul motore, da leader si rischia di trovarsi in coda.
Ed in effetti comincio a vedere le formazioni davanti a noi che si abbassano impaccandosi sotto al leader. Per preparare una rapida fuga, se necessario, chiamo al mio collega “aerofreni fuori”.
In questo modo basterà una piccola riduzione di motore per levarsi dai problemi se opportuno.
Non immagino che questa chiamata radio sarà usata in seguito contro di noi.
Dopo pochi secondi Artioli grida ”Capo mi hanno beccato!”; con la coda dell’occhio vedo una macchia arancione che si allontana a destra.
Scavalco il G91 e mi appaio ad Artioli che vedo con un consistente pezzo di muso dello Gnat agganciato alle ciglia del suo postbruciatore.
Il 104 è fornito di un ugello di scarico a sezione variabile che consente di modulare la temperatura della turbina in occasione delle variazioni di potenza in particolare con l’uso del postbruciatore. Le alette che formano questo ugello si chiamano ciglia.
Già si sente il “May Day” dello Gnat che viene affiancato dal collega.
Cosa era successo.
Il pilota dello Gnat, anch’egli distratto dai movimenti dovuti alla riduzione della velocità, si è trovato davanti il sedere del nostro 104, l’ha centrato e, nel tentativo di evitarlo ci ha lasciato il muso per poi urtare sul bordo di uscita dell’ala del 104 a pochi centimetri dall’alettone e da ultimo distruggendo la coda della tanica alare.
Il pilota dello Gnat aveva letteralmente i piedi in aria aperta, ma per un miracolo i comandi di volo non venivano toccati e con la guida del collega, un pilota indiano (di sicuro la globalizzazione l’ha inventata la RAF) riusciva a portare il velivolo a terra.
Se avesse toccato l’alettone del 104 probabilmente i due velivoli si sarebbero schiacciati l’uno sull’altro ed a quella quota non ci sarebbe probabilmente stata salvezza per nessuno.
Noi seguiamo gli Gnat cercando di non fare movimenti di motore onde evitare di far sganciare il carico lasciatoci sulla coda.
Atterrato Artioli, pista chiusa per raccogliere i pezzi caduti sull’asfalto, mi metto defilato in coppia ad un G91 e quando la radio si calma torniamo all’atterraggio.
Il nostro velivolo ritorna prontamente efficiente grazie ai ricambi di 104 provenienti dalla vicina base della Marina Tedesca. Non altrettanto però si può dire dello Gnat che, atterrato miracolosamente, non sarà più in grado di rivolare.
Il giorno successivo è festivo, siamo ospiti della Marina Tedesca sull’isola di Sylt, la quale ha due aspetti interessanti: il primo, che ospita la scuola di cucina per i cuochi dei sottomarini, e noi tutti sappiamo che la cucina sui sottomarini deve essere particolarmente stuzzicante, il secondo che sulle spiagge dell’isola si pratica il naturismo.
Fatto onore al compito in classe dei cuochi, ci siamo diretti con festosa baldanza sulle dune in cerca di sole e di altro e devo dire che l’esperienza per me è stata molto gradevole; ci siamo sentiti liberi al sole ed al vento.
Non avevamo ancora terminato l’esplorazione del luogo quando un’ombra nera si adagiava alle nostre spalle avvolgendoci in una nube di sabbia.
Era un elicottero che cercava proprio noi.
Era successo che il fatto di perdere un velivolo dal proprio inventario alla RAF non era proprio andata giù e, desiderando vederci chiaro, aveva inviato un proprio generale a capo di una commissione di inchiesta.
Erano già al lavoro e volevano interrogarci.
Lasciata la spiaggia con dispiacere, eccoci sotto interrogatorio.
Finiamo di essere tranquilli come colui che urtato in autostrada si aspetta solo che l’assicurazione paghi quando cominciano a girare attorno alla mia chiamata di aerofreni fuori e intuiamo che, pur annuendo alla nostra affermazione di esserci mantenuti in formazione, pensano che essendoci staccati dal nostro leader siamo andati ad urtare il muso di chi ci stava dietro.
Lasciamo la riunione e ripartiamo per l’Italia con un po’ di amaro in bocca.
In seguito ci diranno che, stampate le foto fatte ad Husum durante il sorvolo, si scopriva che effettivamente noi eravamo rimasti al nostro posto. Ma questo noi lo sapevamo già.
Paolo Ceccarelli