COME NACQUE IL 1° CMP
(di Giovanni Perrone Compagni *)
Nel 1979, sulla base di Cameri, si realizzò uno dei “sogni” dell’Aeronautica Militare: la costituzione di un polo manutentivo e addestrativo, oltre che tecnico-logistico, per il sistema d’arma Tornado. Attraverso aneddoti ed episodi di vita vissuta in prima persona, due ex di Cameri raccontano la nascita del 1° Centro Manutenzione Principale e la sua evoluzione in 1° RMV (Reparto Manutenzione Velivoli), oggi capace di supportare più linee di volo.
Foto sopra: il primo velivolo Tornado M.M. 7003, con l’insolita codifica, destinato all’OJT degli istruttori del centro addestramento del 1° CMP di Cameri.
Tra la fine del 1977 e l’inizio del 1978, lo SMA (Stato Maggiore Aeronautica) identificò la necessità di creare un “polo di eccellenza” manutentivo attraverso la creazione dei CMP (Centri di Manutenzione Principale) per ciascuna linea di volo. Questo nasceva da un approfondito riesame della strategia tecnico-manutentiva, introdotta con la Direttiva SMA Log 406/77, che indicava gli obiettivi nell’area tecnico-logistica. In termini odierni potremmo dire che i cardini erano “insourcing” e “integrazione verticale delle funzioni logistico manutentive”. I CMP dovevano accentrare le conoscenze e le competenze tecnico, logistiche e addestrative necessarie a supportare le linee di volo in modo integrato. Ciascun CMP doveva innanzitutto perseguire il 3° LT (Livello Tecnico) di manutenzione, allora chiamato “livello ditta”, per i velivoli, struttura, equipaggiamenti e apparati di competenza; poi disporre di una Direzione Addestramento per tutto il personale manutentore della linea (1°, 2° e 3° LT); quindi includere il Deposito Centrale del sistema d’arma e non più per classe di materiale; infine, creare una Direzione Tecnica capace di gestire le problematiche non solo interne al CMP ma anche dei CM (Centri Manutenzione) dipendenti e fornire consulenza agli enti centrali. La filosofia di base era, insomma, quella di creare una struttura tecnico-logistica-manutentiva non per “tecnologia” (meccanica, elettronica, ecc.) ma per sistema d’arma. Lo specifico CMP era così la struttura sovraordinata, per il coordinamento tecnico-logistico, al 1° – 2° LT dei reparti di volo, e al tempo stesso rappresentava per gli enti superiori il momento di sintesi del know-how e della gestione del sistema d’arma di competenza. Dal discorso rimasero esclusi solo i motori, per i quali era previsto inizialmente un CMP dedicato per tutti quelli dell’Aeronautica Militare, ma che non fu mai realizzato. Tale politica, fortemente voluta dallo SMA, era sostenuta e applicata dall’Ispettorato Logistico, in particolare dal Gen. Savorelli, e successivamente dal Gen. Goldoni, Capo del 3° Reparto (IL3), che si avvalse del T.Col. Roseano in qualità di Capo dell’Ufficio sviluppo nuovi programmi, che ne fu il reale ideologo insieme al T.Col. Bianchi di Costarmaereo, sigla telegrafica della Direzione Generale delle Costruzioni delle Armi e degli Armamenti aeronautici e spaziali.
Dal 3° GEV al 1° CMP
Nel 1978 il 3° GEV (Gruppo Efficienza Velivoli) di Cameri era, insieme al 2° GEV di Grosseto, un ente di 2° LT rinforzato della linea F-104, alle dipendenze gerarchiche di IL3, che svolgeva attività manutentiva principalmente a supporto dei reparti F-104 della 1^ Regione Aerea e, secondo gli standard dell’epoca, con limitata capacità manutentiva “off aircraft”. In termini di funzioni addestrativa e di rifornimento, il GEV era un utente qualunque perché l’addestramento per la linea F-104 era svolto dall’allora Centro Qualificazione Sistema d’Arma di Pratica di Mare e usufruiva dei servizi del locale Magazzino MSA (Materiale Speciale Aeronautico) o dei vari Depositi Centrali.
Trasformare il 3° GEV in 1° CMP Tornado, inizialmente senza competenze specifiche, rappresentava una sfida tecnica e organizzativa mai sperimentata. Questo, visto che il Tornado doveva ancora entrare in linea, rappresentava un salto tecnologico elevato rispetto all’F-104 e, fino allora, l’Aeronautica non si era mai spinta sistematicamente nell’avventura del 3° LT di manutenzione.
Foto sopra: una fotografia del Tornado MM7003 con le firme di tutti gli Ufficiali “fondatori” del 1° CMP di Cameri.
Quello che ancora non si sapeva era che il Tornado sarebbe stato il primo Sistema d’Arma dell’A.M. con una «configurazione dinamica e in continua evoluzione» (a seguito dell’introduzione continua di nuove capacità, migliorie e modifiche) e che concetti come «controllo di configurazione» e «compatibilità tra hardware e software sia di bordo che nei fattori di supporto» sarebbero diventati di attualità quotidiana. La politica perseguita da IL3 e SMA era di responsabilizzare pienamente gli enti periferici anche attraverso la presentazione delle proposte di attivazione e autodefinizione dei requisiti organici e organizzativi.
Questo fu quanto il Gen. Savorelli comunicò ai responsabili del 3° GEV a seguito di un’improvvisa convocazione a Roma. Pertanto, nel 1979 le prime attività e proposte richieste al personale del 3° GEV e allo scrivente, neopromosso Maggiore e, dall’estate di quell’anno, primo Direttore dell’Ente, furono un piano di disimpegno dall’F-104 (trasferimento attività al 2° GEV, addestramento e qualificazione del personale del 21° Gruppo al 2° LT e trasferimento di personale “dall’altro lato della pista” di Cameri(1) e la definizione di una serie di piani riguardanti le infrastrutture tecniche del CMP, quelle logistiche del Centro e dello Stormo, l’addestramento di ufficiali e sottufficiali sul Tornado e sul 3° LT, il contributo alla definizione delle politiche di manutenzione di Forza Armata per ogni apparato del nuovo velivolo e l’attivazione del 3° LT su accessori ed equipaggiamenti meccanici e avionici. Il 3° Reparto dell’Ispettorato Logistico affidò al personale del costituendo CMP la definizione del piano infrastrutturale della base di Cameri e della Zona Logistica di Veveri in termini di “requisito di utente” per gli edifici tecnici del 1° CMP. Considerando anche i nuovi alloggi, mense, impianti tecnologici, di fatto il piano rappresentava un’avventura nell’avventura”(2) in quanto, di nuovo, non c’era esperienza precedente nel settore e, non avendo stabilito compiutamente le politiche di manutenzione per gli equipaggiamenti del velivolo, era difficile definire tutti i requisiti infrastrutturali per effettuarne le lavorazioni.
Realizzare tali infrastrutture in circa quattro anni significò anche tenere per mesi a tempo pieno due ufficiali del CMP presso gli studi di ingegneria, responsabili dei progetti esecutivi per fornire in tempo reale tutte le risposte e i chiarimenti necessari e convogliare le informazioni recepite in tutta Europa a seguito di visite e sopralluoghi presso l’industria e altre Forze Armate.
All’inizio degli anni 80 per creare un ente come il 1° CMP era fondamentale investire sugli uomini. Basti pensare che la struttura organizzativa sarebbe “esplosa”, passando dai circa 12-15 ufficiali e 300 sottufficiali del GEV a oltre 45 ufficiali e 600 sottufficiali del CMP. La conoscenza dell’inglese sarebbe stata indispensabile a tutti i livelli e per tutte le funzioni poiché tutte le pubblicazioni tecniche(3) e il relativo equipaggiamento a terra sarebbero stati di origine estera. Il 3° LT avrebbe comportato conoscenze tecniche allora disponibili solo presso le ditte, e per lo più all’estero. La gestione del Deposito Centrale avrebbe comportato l’integrazione delle procedure nazionali con quelle internazionali gestite dalla NAMMA (NATO Multi-role combat aircraft development and production Management Agency). Tutto l’addestramento si sarebbe basato inizialmente su programmi in inglese.
Presso Cameri era elevato il “turn over” del personale (soprattutto sottufficiale proveniente quasi totalmente dal Sud), rendendo necessario prevedere un ciclo di addestramento e formazione permanente. Anche i corsi tecnici-specialisti svolti nei primi anni avevano pochi precedenti in A.M. per numero, innovazione, contenuti e costi. Furono identificati e contattati gli istituti di formazione più vari, società nazionali ed estere (con decine e decine di corsi su ogni equipaggiamento e apparato del Tornado da “mantenere” in Italia), aziende locali (corsi di inglese anche sul posto di lavoro), istituti A.M. quali la Scuola Lingue Estere di Ciampino e la Scuola Metodo Didattico per preparare gli istruttori Tornado.
Non mancarono le scuole aziendali (tra cui la Bocconi di Milano) per far conseguire il master in direzione aziendale ad alcuni ufficiali ingegneri. Quando, dopo sedici mesi di corso, un ufficiale del GEV (per la cronaca il Ten. Giuliani Eletti) risultò primo assoluto su 108 laureati nell’aula magna della Bocconi, alla consegna degli attestati, si sentì questo commento dal Rettore: «Non pensavo che un militare potesse riuscire primo!».
I primi anni
Il 1° CMP fu formalmente costituito il 1° novembre 1981 e il primo Direttore fu, come già anticipato, lo scrivente, che mantenne l’incarico fino al 31 ottobre 1984. Fu creata una “struttura organizzativa integrata” e gestita “a matrice” molto informale, anche perché si lavorava sempre fino a tardi(4), spesso dopo cena al Circolo Ufficiali o il sabato.
In queste riunioni informali venivano subito utilizzate e scambiate le nuove conoscenze acquisite per assicurare un know-how comune a tutti gli ufficiali.
L’esempio più tipico di lavoro a matrice per i sottufficiali fu quello del nucleo iniziale di istruttori della Direzione Addestramento, destinato ad insegnare il 1° – 2° LT a tutto il personale della linea Tornado. Questo veniva impegnato non solo per preparare e svolgere i primi corsi, ma anche per la “quality assurance” di tutte le pubblicazioni tecniche destinate ai manutentori, e a partecipare alle “maintenability demostration” in Italia e all’estero in cui si verificava il rispetto dei requisiti manutentivi(5).
Ogni ufficiale – anche quelli appena arrivati dall’Accademia o dai Reparti – aveva più di un incarico. Così capitava di dover contemporaneamente proporre il piano per il 3° LT dei componenti strutturali, seguire l’MO (Materiale Ordinario) con la 1^ Regione Aerea (rispondendo a domande quali: «Ma quante sedie ci servono? Cosa è previsto per l’arredo dell’ufficio del direttore?» o «Le scaffalature del deposito sono MO o MSA?»), seguire un corso sulla progettazione delle strutture in Aermacchi e magari essere richiamati la sera per essere fotografati con sottufficiali di bell’aspetto e “biondi” (le parole esatte della telefonata da Roma furono: «personale biondo»), perché lo SMA aveva bisogno di foto per il calendario!
I fattori critici di successo
Nel definire i piani di transizione all’interno del 1° CMP furono identificati “sette fattori critici di successo” necessari per la crescita e la costituzione dell’Ente nei tempi molto rapidi dettati dall’ingresso in linea del Tornado. All’epoca tali fattori critici non furono pubblicizzati in quanto non sempre “politicamente corretti”, almeno in ambito locale, ma a distanza di tempo vale la pena di ricordarne alcuni quali «assumere una dipendenza gerarchica non diretta dal 53° Stormo»(6), «non gestire la manutenzione dei velivoli del 53° Stormo» e «assicurarsi l’indipendenza amministrativa e dei trasporti del CMP».
Tale intendimento può apparire strano, ma fu maturato dopo visite presso altri Reparti italiani(7) e stranieri.
Ci si rese conto che mentre nella fase iniziale il CMP doveva perseguire obiettivi strategici a lungo termine (3-5 anni), soprattutto di crescita, l’orizzonte temporale dei Comandanti di Stormo (allora in genere con rotazione annuale) coincideva con la brevità del loro mandato (con conseguenti obiettivi a breve quali la valutazione tattica o l’efficienza del gruppo di volo). E ancora «non essere classificati come Arsenale Militare», in quanto ciò avrebbe, tra l’altro, comportato il rischio di trasferimento della dipendenza gerarchica al di fuori dell’A.M., l’attivazione di procedure amministrative che avrebbero aumentato il personale indiretto nei confronti del diretto(8), un vicedirettore civile, ecc.
Altro fattore importante era il cosiddetto «principio della continuità» del Direttore, il quale non doveva solo seguire l’attivazione ma divenire responsabile anche della fase successiva di “In Service”. Al tempo, la decisione di acquisire in Forza Armata la capacità manutentiva di 3° LT creò anche, proprio perché innovativa e unica, notevoli perplessità presso l’industria nazionale, in particolare quella “accessoristica”, che non era abituata a un concorrente con le stellette. Non furono poche le lamentele, finite anche su giornali di importanza nazionale, sul fatto che “l’avventura militare” avrebbe potuto togliere lavoro all’industria. In realtà gli accordi di programma Tornado prevedevano che, almeno nella fase iniziale (non meno di 5 anni), la manutenzione degli accessori/equipaggiamenti dovesse rimanere presso la ditta costruttrice estera, a meno che le Forze Armate non decidessero di essere autonome.
La decisione dell’A.M. significò, pertanto, che la maggior parte delle revisioni fosse svolta in Italia (con riduzione di costi e del “turn-around time”) senza l’invio degli equipaggiamenti presso le ditte accessoristiche tedesche e britanniche, mentre per la maggior parte degli accessori italiani la manutenzione dovesse essere lasciata in ditta.
La costituzione di un Ente così atipico, sperimentale per l’epoca, responsabile di un Sistema d’Arma non ancora in linea e in una base aerea che, per la sua posizione a nord-ovest, non era mai stata la scelta “preferita” dal personale neo assegnato, non poteva non generare perplessità, commenti e reazioni da parte dei più tradizionalisti, anche in Forza Armata. Alcuni parlavano di “cattedrale nel deserto”, altri (come alcuni ufficiali delle Direzioni della 1^ Regione Aerea) si aggiravano tra gli edifici in costruzione pensando che li avrebbero dovuti equipaggiare (telefoni, materiale MO e MSA, tra l’altro) e poi gestire(9).
Tra i Comandanti di Stormo avrebbe potuto esserci una certa diffidenza su una realtà che minacciava di offuscare la missione principale del “53°” e mettere in secondo piano il gruppo di volo. Invece, i Comandanti di Stormo dell’epoca (come i Colonnelli Celegato e Frigo) capirono che il CMP non poteva che accrescere il prestigio e il rispetto per Cameri e ne diventarono pertanto degli strenui sostenitori. Ma non fu facile. Le assegnazioni di 80-100 sottufficiali all’anno dalla Scuola Sottufficiali A.M. di Caserta non erano usuali per Cameri e creavano non pochi problemi al 53° Stormo che se li vedeva “recapitare” a Veveri da sfamare e alloggiare. Anche l’iniziale loro sottoimpiego dovuto ai ritardi del programma fu risolto con il loro “prestito” al Gruppo e alla Collegamenti e “tanta pulizia” dell’hangar del GEV/CMP.
Forte era il timore(10) della perdita di know-how (taluni corsi oltre che molto costosi erano unici) per cui i trasferimenti vennero bloccati per parecchi anni. Questa è sempre stata una debolezza di Cameri; infatti si è sempre dovuto ricreare il know-how acquisito, generazione per generazione, a causa della continua emorragia di sottufficiali che desideravano il riavvicinamento ai luoghi d’origine(11). All’epoca, il 1° CMP raccomandò agli enti superiori che i trasferimenti al sud almeno privilegiassero Gioia del Colle dove c’era in costituzione un Reparto Operativo di Tornado.
Sicuramente, però, tutta Cameri viveva un periodo nuovo e innovativo, in cui insieme alla tradizionale missione operativa del 53° Stormo e del 21° Gruppo, cominciava a esistere un polo tecnico e logistico che, per dimensioni, dinamicità e risonanza in ambito internazionale (con visite di delegazioni straniere ripetute e frequenti, perché il modello creato dallo SMA non aveva riscontro nelle altre nazioni), portava ulteriore prestigio al 53° Stormo, che nel frattempo aveva assunto la sua autonomia manutentiva per gli F-104 presso il locale CM.
Certo, non tutto filava liscio: i nuovi distintivi del CMP, pronti per essere indossati sull’uniforme, furono trasformati in portachiavi quando all’improvviso fu decretato che lo stemma dello Stormo avesse la priorità(12) in quanto fu deciso che il CMP dipendesse dal 53° Stormo e solo funzionalmente dall’IL3.
La crescita
Dopo il primo, breve, turbolento periodo iniziale (in cui la gente arrivava, partiva, viaggiava, lavorava fino a tardi, prendeva il treno al mattino per Roma e tornava la stessa notte per risparmiare, il tutto nel mezzo di cantieri sempre più vasti nella base) il problema del 1° CMP era quello di crescere, educare se stesso, stabilizzare le attività tecniche e manutentive, e giustificare le rilevanti spese, in termini finanziari e umani, concentrate per la sua creazione.
Così la crescita nelle diverse aree manutentive (avionica, accessoristica, meccanica, motore, velivoli e addestrativa) non era omogenea anche per le difficoltà che il programma internazionale Tornado viveva periodicamente anche dal punto di vista tecnico.
Se la scelta di creare un ente unico con competenze tecniche e di rifornimento, dimostrava sempre più la sua validità, giungevano anche nuove sfide come l’introduzione del sistema informativo SILI (Sistema Informativo Logistico Integrato) – di derivazione MEMIS Alitalia – che vide nel Tornado il primo Sistema d’Arma totalmente integrato; la gestione del Deposito Centrale Tornado con relativo Ufficio trasporti verso le basi e l’industria; la delega di spesa da parte di Costarmaereo per gli acquisti d’urgenza di parti di ricambio peculiari della flotta attraverso l’integrazione di diversi sistemi informativi gestiti dalla NAMMA di Monaco di Baviera; la delega di Costarmaereo per la gestione della normativa tecnica urgente (la famosa Norma Tornado -1)(13). Alcune di queste deleghe furono una sorpresa per “il popolo del CMP”, ma rappresentarono anche il riconoscimento della serietà e dell’impegno dimostrati in quegli anni incredibili e complicati. Erano la prova che la nuova realtà meritava stima e fiducia.
Il primo Tornado di serie
Il primo Tornado del CMP fu anche il primo Tornado di serie consegnato all’A.M.. Arrivò a Cameri senza pubblicità, a parte un piccolo trafiletto sul Corriere di Novara (ordine di SMA: «il primo Tornado doveva ufficialmente arrivare a Ghedi!»). Il suo impiego fu l’addestramento (“on the job training on aircraft”), sotto la gestione del CMP, degli specialisti e dei manutentori di Cameri e Ghedi, dopo il primo ciclo di corsi in aula tenuti dagli istruttori.
Per questo l’aeroplano fu autorizzato a portare sulla fusoliera il “numero di carrozzella” del CMP (CMP-1), che fece sollevare più di un sopracciglio e fu forse il primo esempio di velivolo identificato con la sigla di un ente di manutenzione. Al termine della fase addestrativa, durata più di un anno, si pose il problema di ripristinare il velivolo al volo, cosa non facile dopo centinaia di smontaggi e rimontaggi e prove a terra. Con il supporto di personale qualificato dell’industria fu presa la decisione coraggiosa di svolgere tale attività a Cameri con il personale del CMP e non in ditta come avvenuto altrove(14).
Missione riuscita: il velivolo poté così essere trasferito a Ghedi dopo un volo di collaudo (emozionante per il CMP e per l’equipaggio, formato dagli allora T.Col. Giuseppe Marani, pilota, e Magg. Carlo Landi, navigatore) per iniziare la vita operativa con un’identificazione più tradizionale del 6° Stormo. In sintesi, l’idea dello SMA(15) di un centro di eccellenza integrato, multidisciplinare e in periferia, era straordinariamente innovativa per l’epoca e ha retto l’impatto del tempo.
Ancora oggi, come si può vedere andando al 1° RMV, questa soluzione dimostra tutta la sua utilità e freschezza anche nei mutati scenari dell’A.M., tanto più considerando che all’epoca l’orizzonte temporale utile del CMP e del Tornado era stato considerato al massimo trentennale.
* Gen. Isp. Capo (r) G.A.r.n., già Direttore Generale della Direzione Generale degli Armamenti Aeronautici
1) A causa dei numerosi trasferimenti di personale, la strada che portava dal GEV al 21° Gruppo fu scherzosamente soprannominata “via dei Martiri”.
2) Per dare un’idea della complessità e degli sforzi anche finanziari, il piano iniziale fu articolato in 23 edifici di cui tre da ristrutturare e 20 di nuova costruzione (per una superficie complessiva di oltre 32.000 mq e una cubatura di 278.000 m3) e tutto da completare entro il 1983, senza disturbare l’operatività della base: una sfida unica per quei tempi!
3) Con l’IL3 si considerò più costo/efficacia acquisire le Pubblicazioni Tecniche di 3° LT in lingua originale e addestrare il personale all’inglese (crescita professionale) anziché farle tradurre. Peraltro, la traduzione avrebbe causato un forte ritardo nella loro disponibilità in Forza Armata.
4) Il M.llo Cannelloni (sic!), gestore della mensa, telefonava al GEV verso le 20.00: «Ragazzi, quando venite? io devo chiudere…».
5) Questa metodologia consentì un approfondito e ampio addestramento dei sottufficiali istruttori
6) In realtà per alcuni anni ciò non si verificò, ma facilitò le attività del CMP grazie al supporto del Comandante dello Stormo soprattutto nei rapporti con il Comando di Regione Aerea.
7) Presso il CMP di Sigonella le tempistiche delle ispezioni degli Atlantic, di durata circa biennale, non venivano mai rispettate poiché il Gruppo, anche nottetempo, li cannibalizzava per reperire rapidamente le parti di ricambio.
8) Ad esempio, la contabilità industriale. La preoccupazione dell’epoca era di dimostrare che eravamo produttivi: riempire l’hangar con velivoli era un “must” in quanto si temeva che il lavoro eccezionale della Direzione Tecnica e delle sale accessori non venisse percepito dagli operativi.
9) Spesso non veniva percepita la novità dell’Ente in attivazione; ci fu un tentativo della Regione Aerea di arredare il CMP con mobili usati recuperati dai Reparti, respinto dall’IL3. Arrivò una telefonata al Direttore al quale chiesero come mai avevamo più sedie che personale, dimenticando che la Direzione Addestramento necessitava di aule attrezzate oltre alle sale riunioni/briefing.
10) Da ricordare il briefing standard del Direttore ai neoarrivati: «Qui farete esperienze uniche e acquisterete una grande professionalità, ma non sperate in trasferimenti rapidi… sarete “seppelliti” qui, in questo prato!».
11) Un sottufficiale appartenente agli “strutturisti”, ex motorista riqualificato e addestrato nelle riparazioni strutturali di 3° LT presso la scuola dell’Alitalia per quasi due anni, finì al Volo a Vela, dove non poteva né essere usato come motorista né come strutturista.
12) Su intervento del Comandante della 1^ Regione Aerea, il telex di autorizzazione dello SMA a indossare il distintivo del CMP fu oggetto di un successivo chiarimento, per cui i distintivi erano autorizzati solo per la tuta.
13) Il CMP valutava i documenti provenienti dalle altre nazioni, li commentava, li approvava e li emetteva in lingua italiana direttamente ai Reparti Operativi nazionali acquistando, quando necessario, i materiali necessari alle unità operative.
14) In Germania il velivolo fu inviato in MBB per le verifiche con costi elevatissimi.
15) Il programma del CMP fu controllato attivamente e direttamente da SMA (e poi delegato all’IL3 e per una parte al CMP) interessando solo parzialmente la catena gerarchica: questo consentì che l’innovazione non si diluisse perdendo energia.