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Tre assi novaresi

Circolo del 53

Novara può senz’altro essere considerata una città di antiche tradizioni aeronautiche in quanto la presenza dell’aviazione nel Novarese risale ai primi anni del XX secolo e, precisamente, al 1909 quando sul campo di volo di Cameri iniziò ad operare la prima scuola di volo.
Novara è altresì la patria di tre valorosi aviatori, Carlo Emanuele Buscaglia, Silvio Cella e Teresio Martinoli, i cosiddetti Assi di Novarache, dopo innumerevoli scontri vittoriosi con il nemico sui cieli del Mediterraneo, hanno affrontato l’estremo sacrificio uniti in unico destino per ridare alla Patria dignità e libertà. Singolare ed emblematico è il tragico disegno voluto e tracciato dal destino. Sono innumerevoli e per molti versi incredibili gli elementi e le circostanze che accomunano vita e morte di questi piloti.
Erano giovani tutti e tre: Buscaglia, 29 anni, Cella 28 e Martinoli 27. Tutti e tre erano nati e cresciuti a Novara e tutti e tre furono vittime di banali incidenti di volo dovuti a cause tecniche; incidenti avvenuti tutti nello stesso luogo Campo Vesuvio, nell’arco di una settimana. Tutti e tre avevano alle spalle un eccezionale percorso di piloti della Regia Aeronautica. Il Maggiore Buscaglia, l’asso degli aerosiluranti, una medaglia d’oro e sei d’argento, una croce di ferro tedesca, due avanzamenti ed una promozione per merito di guerra. Il Tenente Cella, idrovolantista, poi nei reparti di bombardamento ed infine aerosilurante, quattro medaglie d’argento al valor militare. Il Sergente Maggiore Martinoli, l’asso della caccia, una medaglia d’oro al valor militare, tre medaglie d’argento, una delle quali commutata in rafferma nel servizio permanente effettivo per merito di guerra e una croce tedesca. Infine, tutti e tre, dopo l’8 settembre, avevano operato la stessa decisione decidendo liberamente di entrare a far parte dei Reparti dell’Aeronautica Militare che hanno partecipato, a fianco degli alleati, alla guerra per la liberazione dell’Italia. Le salme dei tre valorosi piloti novaresi rientrarono a Novara insieme nell’ottobre 1947.

Una testimonianza diretta sulla scomparsa dei piloti novaresi Carlo Emanuele Boscaglia, Teresio Martinoli e Silvio Cella a fine agosto 1944.

Discorso tenuto del Gen. S.A. Catullo NARDI alla BASILICA di S. GAUDENZIO di Novara il 16 Ottobre 2004 in occasione delle celebrazioni per il 60° anniversario della loro scomparsa:

«Ringrazio gli organizzatori per aver voluto la mia testimonianza alle celebrazioni dei tre eroi aeronau­ tici novaresi Buscaglia, Martinoli e Cella.

La testimonianza non deriva dalle mie cariche Aeronautiche o dalla mia Presidenza dell’Associazione Arma Aeronautica dall”83 al ’90 (o dal fatto che ho comandato il 53° Stormo Sull’Aeroporto di Cameri) ma dalla mia presenza a Campo Vesuvio nell’estate/autunno del 1944, (epoca dei fatti che sto per rievocare).

All’epoca ero aspirante dell’Accademia Aeronautica ricostituita a Forlì (? Brindisi) nell’ottobre 1943. Dopo l’8 Settembre decisi di presentarmi al Governo del Sud che prometteva continuità delle Istituzioni e lotta di liberazione (dell’Italia, a fianco degli alleati anglo-americani). Avevo 20 anni e assieme al collega (di corso di Accademia) Arnone passammo avventurosamente e con fortuna le linee e ci presentammo a Bari al Capo di Stato Maggiore della 3A Zona Aerea Territoriale, Gen. CAVALLARIN che, vedendo (trovandosi) per la prima volta (di fronte al) il problema, chiese ed ottenne ospitalità (dalla Marina) per la ricostituenda Accademia (Aeronautica nella sede di) a quella Navale (di Brindisi?).

L’Ammiragliato capì il problema e dopo pochi giorni ci accolse (ci accolsero in quella sede ove). Ebbi l’onore di contribuire, quale allievo più anziano del Corso Aquila, alla riorganizzazione dei Corsi.

Nel ’44 (l’Accademia chiuse l’anno scolastico a primavera e noi due (io e Arnone), unici senza famiglia o parenti nel Sud (dell’Italia già liberata), e (per di più) senza paga, attenemmo dall’allora Ministro dell’Aeronautica, Gen. Sandalli, l’aggregazione per le vacanze (estive del ’44), al 132° Gruppo e così mi ritrovai a Lec­ce quando fu organizzato il passaggio del Gruppo sui nuovi velivoli americani, i Baltimore, bimotori da bombar­damento.

Capo Calotta del 132° era (allora) il Ten. Silvio Cella ed egli mi prescelse come suo aiutante, senten­do (percependo forse) quanto fosse importante per l’Aeronautica la speranza nell’avvenire alla quale la rinascita dell’Accademia dava (costituiva) un punto di certezza.

Sul mio libretto personale ci sono molti voli da 2° pilota, (con) primo pilota Cella, ed altri con Moci, Graziani, Casini, Salvatore, Erasi, e poi dopo l’agosto del ’44 alcuni voli da navigatore sul Baltimore. Il primo di questi velivoli fu ricevuto a Campo Vesuvio dal Ten. Salvatore e da me, lì trasferiti per allestire le tende per gli alloggi e le mense e lì decollò per primo il Ten. Salvatore da me assistito con le traduzioni (di quanto previsto per le manovre di pilotaggio) del manuale di volo, (a dir il vero) molto ristretto (schematico) e spartano. Avevamo ricevuto noi il primo Baltimore, consegnato (portato a Campo Vesuvio) da un Tenente neozelandese.

Ho parlato forse troppo di me ma ho voluto significare quanto la mia conoscenza intima con Cella, ospite anche di stanza per alcuni mesi dal ’43 (?) al ’44, in ogni occasione di vacanza accademica, con Martinoli, che fu (anche) il mio istruttore sul Saiman in dotazione al 4° Stormo, anche lui in transizione sull’Air Cobra a Campo Vesuvio, mi sia permesso (ora) di parlare di Loro (con testimonianze) e un ricordo diretto.

Anche Buscaglia arrivò a Campo Vesuvio quando l’attività addestrativi era in pieno svolgimento con istruttori di volo e apparecchiature (studiate per la transizione sul nuovo velivolo) e quando i due Gruppi (dello Stormo Baltimore) avevano già i loro Comandanti, Erasi il 132° e Moci il 28°.

L’arrivo di Buscaglia (fine giugno del ’44) fu una festa per tutti perché era stato dato per morto ed era tornato più motivato di prima, ansioso di riprendere (ricuperare) il tempo perduto in prigionia e nelle cure delle ferite riportate.

In una delle domeniche di riposo (forse proprio quella precedente il suo incidente) ebbi la ventura di assistere (sentire) a mensa, dal vicino tavolo della Calotta, a quanto si diceva al tavolo Comando tra Erasi (che sarebbe scomparso anche lui qualche mese dopo) e Buscaglia. Si parlava del decollo sul Baltimore ed Erasi esortava “Eie” (il nomignolo affibbiato a Buscaglia da Erasi, si erano conosciuti all’inizio della guerra alla nascita della specialità degli aerosiluranti, “Eie” era forse una contrazione del 2° nome di Buscaglia, Emanue­le) di fare ancora dei doppi comandi poiché il Baltimore era molto diverso dal nostro S7: aveva i freni sulla pedaliera anziché sul volantino, due motori di grande potenza con le eliche rotanti nello stesso senso e quindi suscettibili di dare un (notevole) momento d’imbardata in decollo. “Eie” (Buscaglia) ascoltava ed (sembrava accettasse le osservazioni del comandante del 132°) accettava ma la sua ansia di mettersi alla “pari” con i col­leghi che avevano già decollato, traspariva dalle sue parole e (forse) più dal suo atteggiamento e dagli occhi febbrili che cercavano (che indicavano la sua volontà) di bruciare le tappe.

Così, dopo poche giorni, (verso sera) mentre il (tutto il personale del) Reparto era a mensa, si sentì un rombo di motori in moto e poco dopo in rullaggio. Tutti ci precipitammo fuori a vedere chi era, in tempo per vedere la partenza e l’imbardata che dovevano essere fatali il nostro eroe. Fui tra coloro che si precipitarono a piedi nel vigneto ove era caduto l’aereo e fui “atterrato” violentemente dal filo di ferro che (sos)teneva le viti e che nella foga non avevo visto. Arrivai quando i primi (accorsi, e oggi alcuni di loro sono qui presenti con me, il Comandante Sanseverino che fu l’ultimo che parlò con Buscaglia un attimo prima del tentativo di decollo, il Comandante Brolis che fu uno dei primi ad accorrere e che raccolse le ultime parole di Buscaglia che non aveva perso completamente la conoscenza, il Dottor Voltan, l’ingegner Gobbato e il Dott. Galbusera, piloti del 4° Stormo a noi vicini) avevano già spento l’incendio che si era sviluppato e (che) cominciava a bruciare le carni di “Eie” (Buscaglia) e stavano trasferendolo sull’ambulanza. Non morì subito, fu curato (nel vicino ospe­dale da campo angloamericano di Torre del Greco) da medici aggiornati inglesi e americani: forse per la prima volta credo, in Italia fu usata la penicillina su un italiano, ma non ce la fece.

Il Reparto, pur abituato come il vicino 4° Stormo (sistemato dall’altra parte della pista) agli inevitabili incidenti di volo che la situazione addestrativa ed ambientale affrettata produceva, rimase colpito dalla perdita del “suo simbolo” che lo era anche per tutta l’Aeronautica, anche per quella del Nord (che aveva un gruppo aerosiluranti intitolato a Buscaglia), e per l’Italia del riscatto. Era il 24 Agosto 1944.

Ed era il 1 settembre (31 agosto) seguente quando Silvio Cella ebbe un incidente simile a quello di Buscaglia (con lo stesso velivolo Baltimore). Anche lui fu curato all’ospedale di Torre del Greco dai medici più aggiornati inglesi ed americani con la penicillina, ma il 14 settembre decedeva in quell’ospedale (nonostante all’inizio le sue condizioni non apparissero molto gravi).

Se ne andava così sulla stessa nuvola di gloria del suo Comandante-simbolo, il Capo Calotta del 132° Gruppo (il 132° Gruppo veniva chiamato anche Gruppo Buscaglia) che lasciava un vuoto forse per certi aspet­ti più grande nella “manovalanza” dei più giovani piloti che si riconoscevano meglio nella “Calotta” che rivendi­cava lo spirito de “4 gatti rimasti a fare la guerra per l’Italia”, nonostante la poca attenzione verso di loro dei Governi e della popolazione dedita a “sopravvivere” in una situazione in cui la politica degli interessi comincia­va a prevalere sulla necessità del riscatto dell’Italia, che per fortuna fu sentito da molti soldati di Italia tutta.

Silvio Cella, con la scanzonata condotta della Calotta, critica dei Comandi, solida nei propositi, sensi­bile (alle esigenze di) a quanti avevano famiglia al Nord e accettavano di continuare in pochi una battaglia (che era invece) per tanti, si era immolato per questo ed io capii mesi dopo che mi aveva cooptato nella Calot­ta perché la rinata Accademia era (fosse) un simbolo decisamente importante per il morale di chi combatteva.

Caro Silvio, spero tu mi senta e che senta la tua gente oggi raccolta nel ricordo e nella riconoscenza.

Al di là della pista in grolle, sui detriti granulosi lasciati dall’eruzione della fine del ’43 del Vesuvio, era schierato il 4°. Teresio Martinoli era il “mio istruttore” preferito quando riuscivo a volare sul Saiman del 4°. Pochissime parole in volo, molte a terra.

Non ebbi la fortuna di conoscerti negli altri aspetti della tua personalità perché i nostri incontri erano brevi e riguardavano quella mezz’ora di volo che il 4° mi concedeva.

Quel 25 agosto assistetti da lontano al tuo atterraggio di emergenza all’interno dell’Aeroporto. Quando arrivai (dove il velivolo con motore piantato aveva impattato con una casa colonica molto vicina alla pista), ti avevano già portato via. Ricordo che la cabina sembrava integra ma l’impatto era stato duro, il velivolo aveva perso le ali, il motore posteriore (situato quasi dietro il pilota), contribuì forse ad aggravare gli effetti mortali.

Avevi fatto ciò che andava fatto, al meglio delle tue eccelse capacità. Il motore ti tradì come tanti altri allora per la forza erosionale (l’erosione) causata dei detriti del Vesuvio sui motori.

Avevi dato il meglio sui Macchi italiani ed essi Ti vollero nella schiera degli eletti che dettero tutto quanto ce n’era bisogno per la sopravvivenza dell’Italia.

Ai novaresi, ai giovani ed ai memori, va il mio pensiero. Questi tre eroi dettero a questa Italia tre grandi esempi. Vi auguro e mi auguro di essere (esserne) sempre più degni anche nella (frenetica) vita odierna che é più vicina a quella (di quei tempi) di quanto non sembra (sembri).»

Magg. Pilota Carlo Emanuele BUSCAGLIA

Ufficiale pilota della Regia Aeronautica fu uno dei più famosi aviatori della seconda guerra mondiale ottenendo 1 medaglia d’oro e 6 medaglie d’argento al V.M., una Croce di ferro di 2^ classe (conferita dai tedeschi), due avanzamenti ed una promozione per merito di guerra.
Nacque a Novara, il 22 settembre 1915, in una casa di corso Umberto, oggi corso Italia, da padre di origine umbra e madre novarese.
Entrò nella Regia Accademia Aeronautica di Caserta nel 1934 con il corso Orione e conseguì il grado di sottotenente nel giugno 1937 mentre nel febbraio 1937 aveva già conseguito il brevetto di pilota militare.
Il 1 luglio venne assegnato al suo primo reparto di impiego, la 50^ Squadriglia del 32° Stormo BT. Nell’aprile 1939 venne promosso Tenente e nel febbraio 1940 fu trasferito alla 252^ Squadriglia del 46° Stormo BT, partecipando ad alcune operazioni di bombardamento terrestre sul fronte occidentale.
Nel luglio 1940 fu assegnato al Reparto Sperimentale Aerosiluranti, appena costituito sull’aeroporto di Gorizia. Il reparto venne trasferito ad El-Adem, in Libia, mentre era ancora in fase di addestramento per compiere la sua prima missione bellica, segnando così il debutto operativo degli aerosiluranti italiani.
Nel settembre 1940 l’unità venne ridenominata 278^ Squadriglia autonoma aerosiluranti ed adottò come distintivo quattro gatti, due bianchi e due neri, che passeggiano sopra un siluro con la scritta “pauci sed semper immites” (pochi ma sempre aggressivi) a significare i quattro aerei del Reparto e la povertà di uomini e mezzi con cui era stato costituito.
Buscaglia in questo periodo partecipò a numerose azioni nel Mediterraneo ottenendo una medaglia d’argento al V.M..
Nel marzo 1941 venne costituita una nuova unità aerosiluranti, la 281^ Squadriglia, con sede sull’isola di Rodi ed il cui comando fu affidato al neopromosso Cap. Buscaglia.  La 281^ Squadriglia effettuò numerose operazioni di guerra contro il naviglio inglese e Buscaglia fu decorato con 4 medaglie d’argento al V.M. ed una croce di guerra.


Il 1° aprile 1942, la 278^ e la 281^ vennero riunite costituendo il 132° Gruppo, di cui Buscaglia assunse il comando. Il 24 giugno, in Sicilia, Mussolini appuntò sul petto di Buscaglia la sesta medaglia d’argento ottenuta per il valoroso comportamento avuto nel corso di uno dei maggiori e più importanti scontri aeronavali avvenuti nel Mediterraneo durante la seconda guerra mondiale.  Il 12 agosto 1942 Buscaglia venne promosso maggiore per meriti di guerra. Il 12 novembre, il 132° Gruppo, con sei aerei guidati da Buscaglia, attaccò un convoglio alleato nella baia di Bougie e mentre gli aerei sorvolavano la rada di Bougie, vennero attaccati dagli Spitfire della RAF; l’aereo di Buscaglia, colpito più volte, precipitò in fiamme disintegrandosi al contatto con l’acqua. Buscaglia venne dichiarato ufficialmente “disperso in azione” e gli venne conferita una medaglia d’oro al V.M. alla memoria ed il 132° Gruppo prese il suo nome. Buscaglia, invece, nell’impatto era stato scaraventato fuori dall’abitacolo e, gravemente ferito e ustionato, fu salvato da un battello britannico. Inizialmente fu curato in ospedali britannici ma poi venne trasferito negli Stati Uniti ed internato nel Maryland. Dopo l’armistizio rientrò in Italia per far parte dello “Stormo Baltimore”, costituito al sud, assumendo il comando del 28° Gruppo. Il suo fisico, però, a causa delle gravi ferite riportate non era più quello di una volta e fu probabilmente per dimostrare a se stesso ed agli altri che non aveva bisogno di nessuno che, il 23 agosto 1944, su un aeroporto di fortuna alle pendici del Vesuvio denominato “Campo Vesuvio”, mentre la gente era a mensa, salì su un velivolo e tentò il decollo, precipitando immediatamente.
Scomparve il giorno successivo, in seguito alle gravi ferite riportate.
La salma, già tumulata nel cimitero di Napoli, venne trasferita nel cimitero di Novara il 4 ottobre 1947.

Ten. Pilota Silvio CELLA

Silvio Cella nacque a Novara l’8 luglio 1916 al n.1 di via De Amicis, nel quartiere di S. Agabio. Il padre, Giovanni, lavorava in ferrovia e la madre, Rosa Viola, casalinga. Il padre muore quando Silvio era ancora un ragazzo.
Frequentò l’Istituto Mossotti di Novara conseguendo nel 1935 il diploma di ragioniere. Seguì con passione il mondo dell’aviazione e decise di diventare pilota militare, nonostante la ferma opposizione della famiglia. Strappato il consenso alla madre, fece domanda per entrare nella Regia Aeronautica e nell’aprile del 1936 venne ammesso al corso per allievi ufficiali di complemento presso l’aeroporto di Taliedo con una ferma volontaria di 18 mesi. L’8 giugno, presso l’aeroporto Lido di Roma iniziò il corso di pilotaggio con la locale Squadriglia di Turismo Aereo conseguendo il Brevetto di Pilota di Aeroplano. Destinato alla Aviazione Ausiliaria per la Regia Marina, proseguì l’addestramento, con il grado di 1° Aviere, alla Scuola Centrale Pilotaggio per Idrovolanti di Portorose (Pola) conseguendo, a giugno, il Brevetto di Pilota Militare. Il primo Reparto d’impiego del Sten. Cella fu la 143^ Squadriglia Ricognizione Marittima di Brindisi, dove restò sino a novembre. Silvio Cella però, nel frattempo, maturò la decisione di rimanere in Aeronautica ed entrò nella Regia Accademia con il corso Sparviero, iniziando il corso il 1 dicembre 1937. Venne assegnato alla specialità Bombardamento Terrestre ed allo scoppio della guerra era alla Scuola Bombardamento di Aviano e nel mese di agosto con la 192^ Squadriglia BT del 87° Gruppo del 30° Stormo iniziò i voli di guerra da vari aeroporti del sud. Il 7 maggio 1941, al rientro da un volo, il suo S.79 perse velocità e precipitò al suolo; l’aereo fu distrutto ma Cella riportò solo lievi ferite.
La sua attività nel Mediterraneo tra il novembre 1940 e l’agosto 1941 gli valse la prima medaglia d’argento al V.M.
Nel dicembre 1941 fu trasferito, a domanda, al 1° Nucleo addestramento aerosiluranti di Gorizia ed il successivo 3 aprile fu assegnato alla 204^ Squadriglia del 41° Gruppo autonomo AS di stanza a Rodi. L’appartenenza alla 204^ Squadriglia fu breve ma intensa. Partecipò a varie operazioni nel Mediterraneo guadagnandosi la seconda medaglia d’argento mentre la terza medaglia gli venne riconosciuta per l’attività svolta nel periodo aprile luglio.
In agosto, rientrò in Italia ed fu assegnato alla 252^ Squadriglia del 104° Gruppo AS e tornò nuovamente a Rodi per poi andare a Creta. Nel novembre ottenne la quarta medaglia d’argento per una positiva azione di siluramento contro un convoglio nemico. Restò nell’Egeo sino all’inizio del 1943.
Dopo un breve periodo di inattività per problemi di salute, nel luglio 1943, passò alla 253^ Squadriglia che operava da Littoria, Lecce, Milis e Siena. Il giorno dell’armistizio la 253^ Squadriglia era a Siena e da lì Cella passò le linee e dopo vari trasferimenti, ai primi di ottobre, giunse a Lecce effettuando voli di collegamento, trasporto materiali, prove velivolo ma soprattutto di servizio postale. Cella proseguì questa attività sino al 17 giugno 1944 per poi, dal luglio 1944, essere a Campo Vesuvio con il Gruppo Baltimore dove, il 30 agosto, con il Baltimore si schiantò al suolo, dopo il decollo, riportando gravi ferite. Le complicazioni risultarono fatali e Cella morì il 14 settembre 1944.

Serg. Magg. Pilota Teresio Vittorio MARTINOLI

La straordinaria figura di cacciatore del Sergente Maggiore Teresio Vittorio Martinoli si è andata delineando nelle sue reali dimensioni soltanto molti anni dopo la fine del conflitto mondiale. Infatti, solo a partire dagli anni sessanta, fu elaborata, in Italia, una classifica ufficiale degli assi italiani nella seconda guerra mondiale, dalla quale emerge  quale “Asso degli Assi” il nominativo di Teresio Martinoli, con 22 abbattimenti individuali, anche se secondo recenti ulteriori accertamenti gli vengono attribuiti 25 abbattimenti..
Modesto e riservato, il Martinoli è l’esempio classico dell’antieroe.
Nacque a Novara, il 26 marzo 1917 in via Duca di Genova (oggi via S. Francesco d’Assisi) da famiglia di modeste condizioni economiche. Il ragazzo, dopo la scuola elementare, fu avviato al lavoro in una officina come garzone per imparare il lavoro di saldatore elettrico. Emerse presto però la sua passione per il volo e nel marzo 1937 conseguì alla RUNA di Cameri il brevetto di aliante e nell’aprile del 1938 quello di pilota d’aeroplano.
Chiamato alle armi, fu nominato Sergente nella Regia Aeronautica e diventò pilota militare. Nell’agosto 1939 fu assegnato al 53° Stormo caccia (366^ Squadriglia del 151° Gruppo), a Caselle Torinese. Il 13 giugno 1940 gli venne riconosciuto l’abbattimento del primo aereo nemico. A settembre venne trasferito in Libia con il 13° Gruppo del 2° Stormo ed alla fine del 1940 passa al 4° Stormo rimanendo in Africa, con la 73^ Squadriglia del 9° Gruppo. In questo periodo Martinoli, nel frattempo promosso Sergente Maggiore, abbattè tre Hurricane, costrinse all’ammaraggio un Blenhein e ricevette la sua prima medaglia d’argento al V.M. Successivamente, nella campagna conclusa con la fatale battaglia di El Alamein di fine ottobre, Martinoli abbattè nove caccia avversari ottenendo la seconda medaglia d’argento.
All’inizio del 1943 rientrò in Italia, prima per la difesa delle città del Nord e poi sul fronte Sud. L’8 settembre Martinoli era a Pescara. Tutto il 4° Stormo passò le linee e si schierò compatto con gli Alleati.
Il suo ultimo abbattimento avviene il 1 novembre 1943.
Dopo aver affrontato mille pericoli in 276 azioni di guerra, Martinoli cadde durante un banale volo di addestramento, il 25 agosto 1944, a Campo Vesuvio con il Bell P-39 Aircobra. Una piantata motore, poco dopo il decollo, portò alla morte il valoroso pilota.
Alle due medaglie d’argento già conseguite ed alla Croce di ferro di 2^ classe tedesca, alla memoria gli fu concessa la medaglia d’oro al V.M.

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