2ª Aerobrigata: esperienze di volo
(di Umberto Formisano)
Ritengo opportuno – se non necessario – far comprendere agli eventuali lettori delle mie emozioni e ansietà provate in volo e anche a terra (una volta) il motivo per cui ho deciso di parlarne, dopo tanto tempo: la prima di esse è del 1958. Ecco il motivo. Un mattino, un normale mattino di tanti, preparandomi allo specchio per radermi, mi sono detto (e non so dire perché qualche mese fa e non prima): “Ma ti rendi conto che sei stato un fortunato? Ti rendi conto che dovresti ringraziare qualcuno se ancora ti vedi allo specchio dopo quanto ti è successo durante i tuoi 35 anni in Aeronautica? Perché non scrivi ciò che hai provato e tenerlo da parte, quale ricordo per figli e nipoti”? E mentre scrivo tali considerazioni, mi viene di aggiungere: gli articoli, se pubblicati, potrebbero spingere altri miei colleghi a esternare qualche loro emozione aeronautica, perché non credo di essere stato l’unico fortunato.
Gen. D.A. (c) Umberto Formisano
ODDIO, SI E’ SPENTO IL MOTORE!
Aeroporto Cameri
2^ Aerobrigata, 1958, con F-86E
Ero capo coppia, in volo di esercitazione, a quota 30.000 piedi (circa 9.500 mt) in salita, per intercettare un previsto “aereo nemico” avente il compito di simulare il bombardamento della città di Torino.
Guidati dal Radar di Mortara (Pavia) io ed il gregario sull’ala destra, scrutavamo il cielo attentamente per individuare il nemico. All’improvviso, pur sapendo che già da quella quota in sù (si andava fino a 45.000 piedi, quota massima “plafond” per l’F86-E) il sibilo del motore giunge quasi silente in cabina, mi viene un sussulto al cuore: vidi la lancetta del contagiri del motore – fino allora tenuta al valore di 95% per agevolare il gregario a stare in coppia – che repentinamente ruota in senso antiorario e scende a zero%.
Oddio, penso, s’è spento il motore!
Ma l’esperienza di volo c’era, e quindi lo sguardo corse allo strumento della temperatura dei gas di scarico: c’erano i previsti 760° C e i comandi idraulici di volo erano regolari (le pompe idrauliche sono al lavoro, quindi il motore gira). E così, dopo un profondo respiro e la chiamata radio al gregario ed al radar, informando del fatto e che interrompevo la missione, ci dirigemmo verso Cameri.
Ma credetemi, riducendo il motore per la discesa, come nell’aumentarlo nel volo orizzontale, mi faceva molta impressione vedere la lancetta del contagiri ferma sullo zero (i piloti mi capiranno) mentre invece avrebbe dovuto seguire i movimenti della manetta motore, in avanti (aumento) e indietro (diminuzione) dei giri, com’era solito che avvenisse.
Il giorno seguente, dopo l’ispezione tecnica, seppi la causa: si era staccato dallo strumento contagiri sul cruscotto, il sistema di rilevazione dei giri del motore, proprio come può accadere con quello della nostra auto: però, con le ruote per terra, certo non sentiremmo un analogo sussulto come quello che provai a 30.000 piedi!
MA COS’E’ QUEL CAVO NERO CHE HA URTATO IL MUSO DELL’AEREO?
Aeroporto Cameri
20 Agosto 1958, ore 09.02, con F-86E
Quel mattino non ero in programma di volo per la licenza annuale già concessa, ma mi fu ordinato di volare in coppia con un altro aereo, il cui pilota doveva essere abilitato per l’esecuzione di atterraggi, con la procedura strumentale G.C.A. (atterraggio condotto via radio da un operatore a terra) in lingua inglese. Nella fase iniziale per l’atterraggio, in cui il pilota esegue le istruzioni dategli dall’operatore (discesa, salita, velocità, destra, sinistra) si era già con il carrello fuori, flaps giù, velocità 180 nodi (circa 324 Km/h) e 700 piedi in discesa, l’operatore gli comunica: “Siete a sinistra del sentiero, sotto il sentiero, virate a destra”. Stando in coppia, e non potendo intervenire sulla radio per avvertirlo dell’errore (era la regola) aumento la mia velocità portandomi pochi metri davanti a lui, sulla destra e quasi alla stessa quota per farmi vedere e battendo le ali a destra (dato che – come noto – il pilota aveva lo sguardo abbassato sugli strumenti per mantenere i valori di volo): lui mi vede, comprende che doveva virare a destra ma, contemporaneamente, senza darmi qualche secondo per spostarmi, vira verso di me venendomi addosso! Bruscamente, scivolo a destra per evitare la collisione; ci riesco, però un attimo dopo aver livellato le ali e in leggera discesa (a causa della scivolata d’ala) vedo una specie di cavo nero davanti al muso dell’aereo e sento, nello stesso istante, un rumore lacerante, simile a quello emesso da una saracinesca da negozio che viene abbassata con eccessiva forza.
Istintivamente, diedi tutto motore, richiamai l’aereo in volo orizzontale mentre vedevo scorrere, a pochi metri sotto, le marroni pannocchie di mais della campagna. L’aereo rispondeva ai comandi ma non volli retrarre il carrello d’atterraggio né i flaps, temendo che il cavo li avesse danneggiati. Intanto mi avvicinavo alla pista d’atterraggio e, rassicurato dalla torre di controllo che carrello e flaps erano a posto, eseguii uno dei miei migliori e più lisci atterraggi mai fatti: fu necessario, perché non sapevo cosa c’era sotto il ventre dell’aereo! Al parcheggio del velivolo, notai – la prima cosa – lo sbalordimento del “tecnico del velivolo” per lo squarcio presente sul muso dello stesso, cosa che potei anch’io vedere e all’istante mi dissi “Umbè, l’hai passata bella!”.
Il caso eccezionale (dalla torre di controllo avevano visto le fiammate sulla linea elettrica urtata dal mio aereo) richiese un immediato sopralluogo presso i tralicci della linea. E cosi, accompagnato da un mio superiore, apprendemmo che l’aereo aveva urtato il cavo superiore (a circa 45 mt da terra) di una linea elettrica a sei cavi portante la tensione di 240 mila volt: il cavo spezzato, cadendo su quelli sottostanti, aveva provocato una fiammata, ed il corto circuito aveva escluso la corrente elettrica alla FIAT di Torino (come detto dal Direttore della centrale elettrica di Novara, presente sul luogo e fuori di sé per l’inconveniente alla FIAT). Questi, avendo appreso dal mio Superiore che io ero il pilota dell’aereo, mi si rivolse con fare concitato dicendo: “ma lei così piccolo, ha causato un guaio così grande!”
In merito all’aereo incidentato (che accarezzai più volte proprio sul taglio ove si era spezzato il cavo, per il senso di riconoscenza che sentivo per quel “cavallo alato” perché maneggevole alle basse velocità e con un potente motore che era una vera musica nelle arrampicate) l’indagine tecnica rilevò danni non significativi: furono cambiati i due robusti pannelli che coprivano le sei mitragliatrici laterali sul muso. Il giorno seguente, esso ritornò efficiente e pronto per altri voli (sopra, la foto relativa all’incidente, da cui si rileva il taglio della presa d’aria dell’aereo provocato dal cavo nero).
NOTA: chi è pratico dell’ambiente dei reparti di volo, può immaginare quante bottiglie di spumante dovetti offrire per lo scampato pericolo; ma ebbi anche la conferma di un noto detto del nostro ambiente: “non andare in volo se hai la licenza in tasca”.
La tanto agognata licenza iniziava proprio da quel mattino, ma mi fu ordinato di eseguire quel volo e dopo sarei stato libero. “Già, dopo quel volo”… esternai ai miei amici mentre si brindava: “…è vero che non sono un abitudinario scaramantico, però per stamane, il detto aviatorio era proprio azzeccato!”.
SONO SPACCIATO, Ml SCONTRO CONTRO UN QUADRIMOTORE CIVILE!
Aeroporto Cameri 1959, con F-86E
Decollo quale capo formazione di quattro aerei in fila indiana, per una missione di cine-mitragliamento a basso angolo (senza proiettili reali) usando il collimatore, su tabelloni (come obiettivi) posti al lato della pista di volo della Base Aerea. La quota di attacco era di 2.500 piedi (800 mt circa), velocità di attacco 350 nodi (637 Km/h circa), virata in cabrata di 4”G” (forza di gravità) a sinistra per portarsi al tratto sottovento e per un nuovo attacco.
Era necessario virare a sinistra, perché a destra vi era il fiume Ticino (ov’è tuttora a circa 3 Km) sulla cui area transitavano, per decolli e atterraggi, i grossi e piccoli aerei civili da trasporto dall’Aeroporto di Malpensa. Noi quattro circuitavamo con impegno, per imparare al meglio la tecnica di mira, in preparazione di analoghe missioni di tiro reale con le mitragliatrici di bordo, calibro 12,7. E circuitavamo anche con sicurezza perché il cielo della Base era tenuto libero da tutti gli altri voli che, se sorvolato, era obbligatorio farlo ad alta quota, certo ben oltre quella di 2.500 piedi.
Ma, in una delle virate in cabrata a sinistra, ancora in fase rovescia e approssimandomi ai 2.500 piedi previsti, vidi l’ampia parte ventrale di un grosso quadrimotore da trasporto (era un DC-6), e persino le fenditure delle lamiere e le viti di blocco delle stesse: si può perciò immaginare l’aumento dei “G” tirati con la cloche per evitare la collisione! Subito segnalo alla torre di controllo la mancata collisione e interrompiamo la missione.
Sapemmo, dalle indagini, che il pilota del “Bestione”, decollando dalla pista di Malpensa, in direzione sud, invece di andare dritto (evitando così di interessare il Ticino), virò subito a destra dopo il decollo, e così venne a trovarsi nel nostro cielo campo. Il pilota non sapeva – quel pilota e certo qualcun altro, come dirò più avanti – che esistesse la pista di Cameri. E apprendemmo anche che, essendo la pista di Malpensa parallela a quella di Cameri, non di rado i piloti civili si confondevano.
Infatti la prova l’avemmo quando in un giorno di quel periodo, un altro quadrimotore civile atterrò direttamente a Cameri: il Comandante della Base intervenne personalmente (certo a causa dei pericolosi precedenti) con il personale militare della sicurezza e non concesse l’autorizzazione al “Captain” dell’aereo di decollare per Malpensa, finchè non venne di là il Direttore dell’Aviazione Civile per constatare l’inconveniente: da quel giorno, quell’errore non accadde più.